Malattie

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

SHOCK

Condizione in cui il flusso ematico ai tessuti periferici è inadeguato per il mantenimento delle funzioni vitali, a seguito di un'insufficiente gittata cardiaca o della maldistribuzione del flusso periferico; in genere è accompagnato da ipotensione e oliguria.

Lo shock può essere dovuto a ipovolemia, vasodilatazione o cause cardiache (ridotta gittata cardiaca) oppure alla combinazione di diversi di questi fattori. L'alterazione fondamentale nello shock è rappresentata dalla ridotta perfusione dei tessuti vitali dovuta (di solito) a ipotensione, cosicché il trasporto e l'estrazione di O2 sono inadeguati per il metabolismo aerobio; si passa dunque al metabolismo anaerobio con accumulo di acido lattico. In caso di persistenza dello stato di shock, l'alterata funzione d'organo è seguita da danno cellulare irreversibile e morte. Il livello di ipotensione sistemica in grado di causare shock varia ed è spesso correlato a una vasculopatia preesistente. Perciò, una modesta ipotensione, ben tollerata da un soggetto giovane e relativamente sano, può provocare un grave danno cerebrale, cardiaco o renale in pazienti affetti da un'importante arteriosclerosi.

Shock ipovolemico: lo shock ipovolemico è associato a un inadeguato volume intravascolare (assoluto o relativo), che provoca una riduzione del riempimento ventricolare e della gittata sistolica. A meno che non intervenga un aumento della frequenza cardiaca, la gittata cardiaca diminuisce.

Una causa abbastanza comune è l'emorragia acuta (p. es., da trauma, ulcera peptica, varici esofagee o aneurisma aortico). L'emorragia può essere evidente (p. es., ematemesi o melena) o nascosta (p. es., da gravidanza extrauterina).

Lo shock ipovolemico può anche far seguito all'aumentata perdita di altri liquidi corporei diversi dal sangue (v. Tab. 204-1). L'ipovolemia impiega di solito diverse ore a instaurarsi e può accompagnarsi a un incremento dei valori dell'Hb e dell'Htc (per l'emoconcentrazione).

Lo shock ipovolemico può essere dovuto a un inadeguato apporto di liquidi con disidratazione ed è spesso accompagnato da un modesto aumento delle perdite di liquidi. Spesso questi pazienti, per deficit neurologici o fisici, non sono in grado di rispondere allo stimolo della sete incrementando l'introduzione di liquidi. Nei pazienti ospedalizzati si può provocare ipovolemia se i segni precoci di insufficienza circolatoria sono erroneamente attribuiti a scompenso cardiaco e viene quindi evitata l'infusione di liquidi o vengono somministrati diuretici.

Shock da vasodilatazione: lo shock da vasodilatazione è causato da un deficit relativo di volume intravascolare dovuto alla vasodilatazione. Il volume ematico circolante è normale, ma risulta insufficiente per un adeguato riempimento delle camere cardiache. Numerose condizioni possono determinare una dilatazione venosa o arteriolare generalizzata: p. es., un grave trauma o un'emorragia cerebrale (shock neurogeno), l'insufficienza epatica o l'assunzione di certi farmaci o di alcune sostanze tossiche. Lo shock associato a un'infezione batterica può essere in parte dovuto all'effetto vasodilatante dell'endotossina o di altre molecole capaci di agire sulle arteriole riducendo le resistenze vascolari. Inoltre, alcuni pazienti con IMA e shock sembrano avere un'inadeguata vasocostrizione compensatoria in risposta alla riduzione della gittata cardiaca. Se la gittata cardiaca non aumenta in maniera proporzionale alla riduzione delle resistenze vascolari, si sviluppa ipotensione. Al di sotto di un valore critico di PA sistemica, gli organi vitali non saranno perfusi in maniera adeguata. La disfunzione miocardica secondaria a un'inadeguata perfusione coronarica o ad altri meccanismi (p. es., il rilascio di un fattore che deprime la contrattilità o altre sostanze tossiche) può complicare lo shock dovuto a vasodilatazione.

Shock cardiogeno: una riduzione relativa o assoluta della gittata cardiaca dovuta a fattori diversi dall'inadeguatezza del volume intravascolare può provocare lo shock.

SINTOMI
I sintomi e i segni possono essere dovuti allo stato di shock di per sé o al processo patologico che ne è alla base. Lo stato mentale può anche non essere alterato, ma sono frequenti obnubilamento del sensorio, stato confusionale e sonnolenza. Le mani e i piedi sono freddi, sudati e spesso cianotici o pallidi. Il tempo di riempimento capillare è prolungato e, in casi estremi, può comparire su vaste aree un caratteristico reticolo bluastro. Il polso è debole e frequente, tranne che nei casi in cui è presente un blocco cardiaco o una bradicardia terminale; talvolta, è possibile apprezzare solo il polso femorale e quello carotideo. Sono presenti tachipnea e iperventilazione, ma l'apnea può costituire l'evento terminale, quando il centro respiratorio è definitivamente compromesso a causa di un'inadeguata perfusione cerebrale. La PA misurata con lo sfigmomanometro tende a essere bassa o non apprezzabile (< 90 mm Hg di pressione sistolica), ma la misurazione diretta, mediante cannula intra-arteriosa, dà spesso valori significativamente più elevati.

Nello shock settico dovuto a vasodilatazione massiva è di solito presente febbre, spesso con brividi. La riduzione delle resistenze periferiche totali si accompagna inizialmente a un aumento della gittata cardiaca, spesso associato a iperventilazione e ad alcalosi respiratoria. Perciò, sintomi precoci possono comprendere un brivido scuotente, un rapido aumento della temperatura, cute arrossata e calda, un polso ancora valido e oscillazioni della PA (sindrome iperdinamica). Nonostante l'elevata gittata cardiaca, la diuresi è contratta. Lo stato mentale è di solito compromesso e la confusione mentale può essere un segno premonitore che precede l'ipotensione di ³ 24 h. Tali reperti, tuttavia, variano e possono non essere evidenti persino in soggetti nei quali l'aumento marcato della gittata cardiaca e la notevole riduzione delle resistenze periferiche vengono confermate da misurazioni emodinamiche dirette. Nelle fasi più avanzate, può verificarsi ipotermia. Altri tipi di shock da vasodilatazione (p. es., l'anafilassi) possono avere caratteristiche simili a quelle dello shock settico.

COMPLICANZE
Le complicanze polmonari, che spesso coesistono o compaiono nei pazienti in stato di shock, non devono essere trascurate. L'edema polmonare che si sviluppa dopo un'ipovolemia è solitamente causato da un'eccessiva somministrazione di liquidi durante la rianimazione, sebbene possa essere confuso con una polmonite dovuta a una sepsi misconosciuta o con una polmonite ab ingestis dovuta a una transitoria depressione del SNC. L'edema polmonare dello shock settico è solitamente provocato da un aumento della permeabilità a livello dei capillari polmonari e dell'epitelio alveolare, che causa un aumento del passaggio di liquidi nel parenchima polmonare. Questa complicanza (sindrome da distress respiratorio dell'adulto) è molto grave. L'edema polmonare spesso complica lo shock cardiogeno, a causa del marcato aumento della pressione di incuneamento ("wedge") dell'arteria polmonare (PWAP).

DIAGNOSI
La diagnosi implica la dimostrazione di un'insufficiente perfusione tissutale, dovuta alla riduzione della gittata cardiaca o all'insufficienza del tono vasomotorio periferico. Si considera in stato di shock ogni paziente con fattori predisponenti che va incontro a una caduta significativa della PA, a una riduzione della diuresi a < 30 ml/h e a un progressivo aumento della concentrazione di acido lattico o a un aumento del gap anionico associato con ridotti livelli di HCO3 nel sangue arterioso. La diagnosi di shock deve essere confortata dalla presenza di segni correlati alla ridotta perfusione dei singoli organi (obnubilamento del sensorio, oliguria, cianosi periferica) o segni correlati all'entrata in azione di meccanismi di compenso (tachicardia, tachipnea, sudorazione). Nelle fasi precoci dello shock, molti dei segni descritti possono essere assenti o passare inosservati, se non vengono ricercati in maniera specifica. Per questo, può accadere che non si inizi la terapia finché lo shock non è in uno stadio avanzato. Nessuno di questi reperti da solo è patognomonico di shock; ciascuno deve essere valutato nel contesto del quadro clinico complessivo.

In ogni tipo di shock, le manifestazioni del processo patologico di base possono costituire elementi importanti per la diagnosi. Una perdita acuta di sangue o di liquidi per la rottura dell'aorta o della milza, per una gravidanza extrauterina o per una peritonite può essere sospettata sulla base dei dati clinici. I segni di una disidratazione generalizzata sono utili per individuare l'ipovolemia in soggetti con patologie neurologiche, gastrointestinali, renali o metaboliche. Nello shock settico, possono essere presenti i segni di una preesistente infezione polmonare, gastrointestinale o urinaria, oppure i segni di una neoplasia o di un'altra malattia debilitante che determina l'alterazione dei processi immunitari nei confronti degli agenti infettivi. Nelle donne in età fertile si può verificare una sindrome da shock tossico, dovuta all'utilizzazione di tamponi vaginali; anche l'aborto settico, soprattutto quando è il risultato di una procedura clandestina, può provocare shock settico. Il rilievo di un soffio sistolico può indicare la presenza di un difetto del setto interventricolare o di un'insufficienza mitralica, situazioni entrambe in grado di provocare uno shock dopo infarto miocardico acuto. Il tamponamento cardiaco viene suggerito dal turgore delle giugulari, dalla parafonia dei toni cardiaci, dagli sfregamenti pericardici e dal polso paradosso. Si può sospettare un'embolia polmonare massiva in pazienti con un impulso in sede parasternale, con un quarto tono intenso lungo il margine sinistro dello sterno che aumenta durante l'inspirazione, con un tono di chiusura della valvola polmonare accentuato e sdoppiato (sdoppiamento ampio) e con turgore delle giugulari.

Shock ipovolemico
: il rilievo di una pressione di riempimento ventricolare normale o bassa con una gittata cardiaca ridotta in un paziente in stato di shock è diagnostico. Una pressione di riempimento del ventricolo destro o una pressione venosa centrale (PVC) < 7 cm di H2O (< 5 mm Hg) sono indizio di ipovolemia; la PVC può essere maggiore di tali valori quando lo shock ipovolemico compare in pazienti con preesistente ipertensione polmonare. In alcuni pazienti con pneumopatie croniche o disfunzione cardiaca, la valutazione della pressione polmonare telediastolica o della PWAP, entrambe strettamente correlate alla pressione diastolica del ventricolo sinistro, è il test migliore. Un valore della pressione polmonare telediastolica o della PWAP < 8 mm Hg (o < 18 mm Hg in un paziente con infarto miocardico acuto o preesistente patologia del ventricolo sinistro) suggerisce un'ipovolemia.

Quando si sospetta un'ipovolemia, può essere d'aiuto, per confermare la diagnosi, l'infusione rapida di un carico di liquidi (500 ml/15 min di 0,9% NaCl o colloidi). Si può assumere che ci si trova di fronte a un'ipovolemia quando il carico di liquidi migliora la PA e la diuresi e riduce le manifestazioni cliniche dello shock, con piccoli incrementi della PVC o della PWAP. Tuttavia, una riduzione della PVC e della PWAP si ha anche nello shock settico, cosicché il miglioramento clinico dopo un carico di liquidi non permette di escludere che la sepsi sia la causa dello shock.

Lo shock ipovolemico dovuto a un'emorragia è abitualmente associato a ridotti livelli di Hb e Htc. Tuttavia, siccome lo shock può sopravvenire entro pochi minuti da una perdita ematica acuta, normali valori di Hb e Htc (prima che si verifichi l'emodiluizione) non escludono un'emorragia. Un rialzo dei valori di Hb e Htc nello shock ipovolemico suggerisce un'emoconcentrazione dovuta alla perdita di altri liquidi corporei.

Shock da vasodilatazione
: in soggetti con trauma cerebrale, sepsi, intossicazione da farmaci o esposizione al calore (se sono presenti un'insufficienza dei sistemi di termoregolazione e disidratazione) va sospettato uno stato di shock secondario a vasodilatazione. Spesso è anche presente ipovolemia.

Shock cardiogeno: lo shock cardiogeno è suggerito dalla presenza di turgore delle giugulari, segni di congestione polmonare e ritmo di galoppo; tuttavia, in molti pazienti con shock cardiogeno, questi segni sono assenti. Per fare diagnosi, è solitamente necessario dimostrare una gittata cardiaca ridotta con una pressione di riempimento ventricolare aumentata. Il tamponamento cardiaco, il pneumotorace iperteso e l'embolia polmonare massiva possono essere confermati rispettivamente mediante ecocardiografia, radiografia del torace e scintigrafia polmonare perfusionale. Quando il danno miocardico da IMA è tale da indurre uno shock, l'ECG è solitamente diagnostico. La diagnosi, tuttavia, può essere resa difficile dalla presenza di un pregresso infarto, di un blocco di branca sinistro o di un blocco atrioventricolare con ritmo idioventricolare o ritmo da pacemaker. In tal caso, risulta utile il caratteristico incremento della creatinfosfochinasi e delle sue frazioni miocardiche nel sangue circolante. L'ECG è inoltre d'aiuto per identificare un'aritmia che può, di per sé, essere causa di shock o può contribuire allo stato di shock. Poiché l'ipovolemia può coesistere con un IMA o una preesistente cardiopatia, non si può assumere che lo shock sia interamente dovuto al danno miocardico, specialmente negli infarti inferiori o posteriori, che possono coinvolgere il ventricolo o l'atrio destro.

PROGNOSI
Se non trattato, lo shock è di solito fatale. Anche quando trattato, la mortalità dello shock che segue a un IMA massivo e dello shock settico è alta. La prognosi dipende dalla causa, dalla presenza di patologie preesistenti o intercorrenti, dal tempo trascorso tra l'esordio clinico e la diagnosi e dall'adeguatezza della terapia.

Il primo intervento deve essere mirato a tenere il paziente al caldo, con le gambe leggermente sollevate per migliorare il ritorno venoso. Si devono arrestare le emorragie, controllare le vie aeree e la ventilazione e provvedere, se necessario, all'assistenza respiratoria. Non deve essere somministrato alcunché per via orale e il capo del paziente deve essere ruotato da un lato per evitare l'inalazione in caso di vomito. Dal momento che l'ipoperfusione dei tessuti rende l'assorbimento poco affidabile, tutti i farmaci devono essere somministrati EV, se possibile. Si devono, in genere, evitare i narcotici, ma il dolore intenso può essere trattato con morfina EV alla dose di 3-5 mg in 2 min, ripetibile, se necessario, dopo 15-20 min. Nonostante l'ipoperfusione cerebrale possa causare ansia, non vanno somministrati tranquillanti e sedativi.

La terapia di supporto deve stabilizzare le funzioni vitali prima dell'esecuzione di esami diagnostici. Possono essere necessarie noradrenalina o dopamina (v. Tab. 204-3). Va immediatamente somministrato O2 mediante maschera facciale. Se ci si trova di fronte a un grave stato di shock o il supporto ventilatorio è inadeguato, si rende necessaria l'intubazione endotracheale per incominciare la ventilazione assistita a pressione positiva e con elevate concentrazioni di O2.

Al di fuori dell'ospedale o in pronto soccorso, si può indurre un temporaneo incremento della PA mediante l'utilizzo di pantaloni per uso militare (o medico) antishock. Tuttavia, è richiesta molta esperienza nell'uso di questi dispositivi per evitare complicanze.

Va inserito un catetere di grosso calibro (n° 16-18) in una vena periferica o centrale (femorale, giugulare interna o antecubitale del braccio), per l'infusione di sangue o di liquidi e per la somministrazione di farmaci. L'infusione diretta di fluidi nel midollo osseo costituisce un accesso d'emergenza alla circolazione, utilizzabile quando le vene sono collassate; questa via è particolarmente utile nei bambini, nonostante sia preferibile l'infusione attraverso la vena femorale se è presente un grave shock ipovolemico.

La somministrazione di 50-100 ml EV di una soluzione all'8,4% di bicarbonato di sodio (1 mEq/ml) può essere utile nel trattamento dell'acidosi metabolica, ma il trattamento della causa dello shock (ipovolemia, sepsi o bassa gittata cardiaca) è più importante.

I pazienti nei quali lo shock non regredisce rapidamente vanno considerati in condizioni critiche; la terapia d'elezione va proseguita in ambienti idonei quali le unità di terapia intensiva o le unità coronariche. Un monitoraggio attento deve comprendere l'ECG; la PA sistemica (preferibilmente tramite cannula intra-arteriosa); la frequenza e la profondità del respiro; la diuresi (di solito tramite catetere vescicale a permanenza); il pH, la PaO2 e la PaCO2 del sangue arterioso; la temperatura cutanea corporea e lo stato clinico, compreso il sensorio, l'ampiezza del polso, la temperatura corporea e il colorito. In pazienti con shock di origine incerta o mista o con shock grave, soprattutto se accompagnato da oliguria grave o da edema polmonare, è molto utile la misurazione della PVC, della PWAP e della gittata cardiaca con il metodo della termodiluizione mediante un catetere a palloncino per l'arteria polmonare. Una "flow chart" disegnata con cura risulta estremamente utile. Possono anche essere utili controlli ripetuti dell'emogasanalisi, dell'Htc, della creatinina sierica e dei lattati plasmatici.

Shock ipovolemico: il trattamento definitivo si basa sul ripristino del volume circolante e sull'eliminazione delle cause sottostanti. Un'infusione eccessivamente rapida di liquidi può provocare un edema polmonare; talvolta, è quindi utile monitorare la PVC e la PWAP. Anche la PA e la diuresi vanno monitorati. In linea generale, si deve fare in modo che la PVC o la PWAP non aumentino > 12-15 mm Hg per effetto della somministrazione di liquidi. Il monitoraggio della PVC da solo può essere fuorviante nei pazienti con una preesistente patologia cardiaca o vascolare polmonare significativa. Occorre prestare attenzione quando si interpretano i dati forniti dalle pressioni di riempimento in pazienti sottoposti a respirazione assistita, particolarmente quando vengono utilizzati livelli di pressione espiratoria > 10 cm H2O, o in pazienti tachipnoici con pressioni pleuriche molto negative. Le misurazioni vanno fatte a fine espirazione e il trasduttore va posizionato a livello dell'atrio (nella regione media del torace) e attentamente calibrato. Il tipo di liquidi e le modalità precise di somministrazione vanno determinati sulla base delle circostanze cliniche e vanno guidati mediante frequenti determinazioni dell'htc, degli elettroliti sierici, della diuresi e del pH arterioso (cioè, bisogna dimostrare il progressivo miglioramento dell'acidosi metabolica). NaCl 0,9% è efficace come altre soluzioni. Dopo avere reintegrato circa il 40-50% del deficit di volume calcolato, si deve somministrare sangue intero o una soluzione di colloidi. Il sangue intero deve essere preventivamente sottoposto a prove crociate di compatibilità ma, in situazioni d'emergenza, una valida alternativa è la somministrazione di 1-2 U di sangue di gruppo O Rh negativo. Le soluzioni colloidali-hetastarch (amido eterificato) al 6% in NaCl 0,9%, plasma (il plasma fresco congelato comporta il rischio di infezione) o sieroalbumina umana ricostituita al 5%, non contengono emazie e riducono l'Htc. L'hetastarch al 6% in NaCl 0,9% è un espansore osmotico del volume intravascolare che è in genere ben tollerato ma può prolungare il tempo di sanguinamento. La dose abituale massima è di 20 ml/kg/24 h, sebbene ne siano state usate quantità molto maggiori. Sono state riportate occasionalmente reazioni allergiche.

Lo shock che non risponde alla reintegrazione di liquidi può deporre per una somministrazione di fluidi insufficiente in presenza di un'emorragia in atto o per la presenza di complicanze (p. es., coesistente shock cardiogeno dovuto a danno miocardico o shock settico). Quando l'ipovolemia non è la causa probabile dello shock o quando la PA sistemica non risponde immediatamente all'infusione di liquidi, si deve prendere in considerazione la somministrazione di un farmaco vasopressore (v. avanti, terapia dello shock da vasodilatazione massiva).

Shock da vasodilatazione: la somministrazione di liquidi (NaCl 0,9%) è quasi sempre necessaria per trattare la concomitante deplezione di volume intravascolare che si verifica per l'aumento della permeabilità vasale sistemica, soprattutto nella sepsi. Sono spesso necessari farmaci vasopressori (p. es., dopamina, noradrenalina), soprattutto nell'ipotensione grave. La dopamina è un farmaco inotropo positivo che, a bassa dose (2-5 mg/kg/min), causa una minore vasocostrizione rispetto alla noradrenalina, ma migliora selettivamente il flusso mesenterico e il flusso renale; può avere alcuni vantaggi rispetto ad altri farmaci vasopressori in pazienti selezionati. La dobutamina, un b-agonista più selettivo, aumenta la gittata cardiaca senza provocare vasocostrizione e non risulta pertanto utile in questi pazienti. La noradrenalina o la dopamina, somministrate mediante infusione EV controllata (v. Tab. 204-3), possono essere utilizzate per aumentare la pressione sistolica a valori di 90-100 mm Hg. Una volta stabilizzata la PA, occorre correggere le anomalie associate (p. es., ipossiemia, acidosi, ipovolemia, sepsi), per poi ridurre o sospendere la somministrazione del farmaco vasopressorio: la vasocostrizione prolungata da stimolazione dell'a-recettore può danneggiare ulteriormente il microcircolo viscerale e aumentare il lavoro miocardico e la richiesta di O2. In presenza di scompenso cardiaco o di sepsi, gli effetti inotropo e cronotropo positivi della noradrenalina o della dopamina possono migliorare la gittata cardiaca e la perfusione sistemica. In assenza di insufficienza surrenalica, la terapia corticosteroidea non dà alcun beneficio. Scarsissime, infine, sono le possibilità terapeutiche per lo shock che segue a un danno cerebrale massivo e irreversibile.

Shock cardiogeno: lo shock cardiogeno si cura cercando di migliorare la funzione cardiaca. Lo shock conseguente a un IMA, se associato con una normale PWAP, deve essere trattato con O2-terapia, stabilizzazione della frequenza e del ritmo cardiaco ed espansione della volemia. Lo shock che segue un IMA del ventricolo destro risponde positivamente alla rapida espansione di volume, che va presa in considerazione dopo un IMA della parete inferiore se la pressione di riempimento del ventricolo destro (PVC) è significativamente elevata in assenza di un aumento significativo della pressione di riempimento del ventricolo sinistro (pressione polmonare telediastolica o PWAP). Tuttavia, la sola somministrazione di fluidi raramente corregge le alterazioni emodinamiche e può essere necessaria una terapia aggiuntiva con vasopressori. La morfina, alla dose di 3-5 mg EV nell'arco di 2 min, può alleviare l'intenso dolore toracico, contribuire a ridurre gli elevati livelli di catecolamine circolanti e ridurre il precarico e il postcarico del cuore insufficiente; la risposta deve essere attentamente monitorata perché la morfina causa depressione respiratoria, provoca dilatazione venosa e può provocare una riduzione della PA. La dose iniziale può essere ripetuta dopo 10 min se non si evidenzia una depressione del respiro o ipotensione. L'atropina, alla dose di 1 mg EV, è occasionalmente efficace nel trattare la bradicardia (frequenza cardiaca < 50 bpm) e l'ipotensione gravi che spesso si manifestano a brevissima distanza dall'insorgenza dei sintomi, particolarmente negli infarti infero-posteriori. Per mantenere la PA sistolica > 90 mm Hg (ma non > 110 mm Hg) si fa uso della noradrenalina o della dopamina. Poiché aumenta notevolmente la richiesta di O2, l'isoproterenolo è controindicato nei pazienti in stato di shock dopo un IMA, a meno che non sia temporaneamente necessario a causa di un blocco cardiaco completo.

Quando lo shock si complica con una bradicardia o un blocco atrioventricolare di grado avanzato, l'aumento della PA mediante noradrenalina o dopamina (v. sopra) e la correzione dell'acidosi comportano di solito il ripristino di una frequenza ventricolare adeguata.

Nei pazienti con blocco atrioventricolare di alto grado persistente o grave disfunzione del nodo del seno, può essere necessaria l'applicazione di un pacemaker transvenoso temporaneo. Può essere occasionalmente necessaria la somministrazione per breve tempo di isoproterenolo (2 mg/500 ml di glucosata al 5%, 1-4 mg/min [0,25-1 ml/min]) prima di applicare un pacemaker nei pazienti con prolungati periodi di asistolia o tachicardia ventricolare ricorrente o fibrillazione ventricolare associate a bradicardia grave. La digitale non viene utilizzata di routine nello shock, ma può essere utile nei pazienti con tachicardia sopraventricolare. Se non vi è ipotensione sistemica grave, si può praticare l'infusione di dobutamina o amrinone (0,75 mg/kg EV in 2-3 min seguiti da infusione di 5-10 mg/kg/min) per migliorare la gittata cardiaca e ridurre la pressione di riempimento del ventricolo sinistro. Durante la somministrazione di dobutamina, specie se ad alte dosi, si possono occasionalmente verificare tachicardia e aritmie. L'amrinone è un agente inotropo e un vasodilatatore, per cui si possono verificare aritmie e ipotensione durante la sua somministrazione. L'amrinone può anche causare trombocitopenia: si deve per questo monitorare la conta piastrinica. I vasodilatatori (p. es. nitroprussiato, nitroglicerina) che aumentano la capacitanza venosa o riducono le resistenze vascolari sistemiche riducono il carico di lavoro imposto al miocardio compromesso e possono risultare efficaci nei pazienti che non hanno un'ipotensione arteriosa grave. Può essere particolarmente utile la terapia d'associazione (p. es., dopamina o dobutamina più nitroprussiato o nitroglicerina), che tuttavia richiede un attento monitoraggio ECG ed emodinamico (sia del circolo polmonare che di quello sistemico).

L'impiego precoce della contropulsazione aortica sembra essere molto utile per la remissione temporanea dello stato di shock nei pazienti con IMA e deve essere preso in considerazione nei pazienti che richiedono un supporto vasopressorio (noradrenalina o dopamina) per > 30 min e nei pazienti con IMA complicato da difetto del setto interventricolare o grave insufficienza mitralica acuta. Lo sviluppo di tecniche transcutanee utilizzabili al letto del paziente ha reso disponibile la contropulsazione aortica anche a ospedali periferici.

Può anche essere necessaria la correzione chirurgica d'emergenza di difetti meccanici (p. es., rottura del setto interventricolare, pseudoaneurismi, insufficienza mitralica grave, ampie discinesie).

L'angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA) eseguita d'urgenza al fine di dilatare una coronaria occlusa, se messa in atto entro poche ore dall'inizio dell'IMA, può risolvere una condizione di shock cardiogeno. L'uso di trombolitici EV prima della PTCA d'emergenza è controverso. Tuttavia, se non vengono effettuate una PTCA o un intervento cardiochirurgico d'emergenza, la terapia trombolitica deve essere presa in considerazione il prima possibile, salvo controindicazioni.

Altre considerazioni: il tamponamento cardiaco richiede la pericardiocentesi e, nelle situazioni che mettono a rischio la sopravvivenza, può rendersi necessario aspirare il liquido pericardico a letto del paziente. In situazioni di minore urgenza può essere consigliabile la creazione di una finestra pericardica o la pericardiectomia, allo scopo di evitare le recidive. L'embolia polmonare massiva che causa shock viene trattata con misure terapeutiche di supporto, incluso O2, intubazione orotracheale con ventilazione assistita, supporto vasopressorio (noradrenalina, dopamina) ed eparina EV per prevenire la recidiva della trombosi. Quando non è possibile ottenere una stabilizzazione con tali misure, deve essere presa in considerazione l'angiografia polmonare d'urgenza. L'impiego dell'urochinasi o della streptochinasi per lisare i trombi è certamente valido ed è preferibile al tentativo di embolectomia, a meno che non sia controindicato (p. es., a causa di recenti interventi chirurgici maggiori, soprattutto di neurochirurgia).

Se lo shock si complica con un edema polmonare, questo può essere spesso risolto trattando l'insufficienza cardiaca coesistente con diuretici mentre si somministra O2 e si sottopone il paziente a ventilazione a pressione positiva. L'edema polmonare che si sviluppa a partire da uno shock settico va trattato in maniera simile, con O2 e ventilazione a pressione positiva.